MOBBING

MOBBING

MOBBING

mobbing

mobbing

 

Mobbing è’ una parola inglese traducibile con “maltrattamento”.

Indica un fenomeno di bullismo tra adulti nel mondo del lavoro, una persona diventa vittima di uno o più colleghi, si prende la colpa per problemi ed errori di cui non ha responsabilità, ogni minimo pretesto viene sfruttato per rimproverarla ed isolarla.

A differenza del bullismo tra giovani, la violenza nel mobbing è spesso sottile; la  vittima  viene scelta di solito perché più indifesa, perché ha un carattere meno assertivo o semplicemente perché è nuova nel gruppo di lavoro.

Più la persona si isola e diventa debole, più viene attaccata e maltrattata dagli altri.

Come nel bullismo molte persone anche se non sono diretti aggressori, diventano complici della situazione, per esempio trasformando la vittima in “caso problematico”, considerandola una persona che lavora male, asociale, incapace di integrarsi.

Può succedere che il capo dell’azienda intervenga rimproverando la vittima per il suo stesso comportamento, innescando il classico circolo vizioso.

Le conseguenze possono essere gravi (disturbi psicosomatici, insonnia, depressione), determinando assenza o addirittura allontanamento definitivo dal lavoro, fino a casi estremi di suicidio.

Rientrano nei casi di mobbing le “molestie sessuali” da parte del datore di lavoro, di cui sono certamente vittime predestinate le donne.

C’è  da notare che la percentuale dei casi di mobbing è molto più alta nei paesi nord-europei che non in Italia, si attesta intorno all’età media (30-50 anni) ed aumenta nel settore lavorativo pubblico.

Infine, c’è da notare che la denuncia per mobbing è molto temuta dalla aziende in quanto comporta notevoli risarcimenti economici nel caso in cui il mobbing venga riconosciuto.

CYBER-BULLISMO

CYBER-(BULLISMO)

cyber bullismo

 

Bullismo e cyber-bullismo costituiscono una vera e propria piaga per tutta l’istituzione scolastica italiana e per gli adolescenti che ne sono coinvolti.

Il tema è straconosciuto e ormai di dominio pubblico: il “bullo” è colui che si fa “bello” approfittandosi (con varie modalità) della debolezza fisica, psichica, sociale, affettiva di chi si trova in uno stato d’inferiorità o comunque di disagio.

Al bullismo classico s’è aggiunto recentemente quello derivato dall’uso dei social-network che finisce per “mettere alla berlina” il povero malcapitato attraverso pesanti prese in giro,  montaggi fotografici, calunnie.

Il cyber- bullismo, forse, risulta ancora più doloroso di quello classico dal momento che l’immagine fortemente penalizzata del soggetto perseguitato diviene di dominio pubblico per centinaia e forse migliaia di spettatori informatici che assistono, magari divertiti, al tragicomico spettacolo.

Il risultato sarà che tra il soggetto preso di mira e il mondo sociale (e non solo col gruppo dei pari) si creerà una barriera psicologica invalicabile ma che diverrà molto presto anche fisica, dal momento che tenderà a non andare più a scuola, a non mettere più il naso fuori di casa, rifugiandosi in un isolamento cronico, pieno di paure, timori, sensi di colpa; la giusta anticamera per l’esplosione di una depressione conclamata.

Dal momento che, come sappiamo, tale tematica ha avuto spesso come tragico epilogo l’atto suicidario, la prima cosa da ribadire e da fare è non mettersi nei “panni della vittima” predestinata a subire, ma reagire, aprirsi e denunciare il tutto alle istituzioni competenti (famiglia, scuola, autorità giudiziaria) .

Prima si fa questo, prima si blocca il decorso verso lo scivolamento in una patologia mentale, meno saranno i “danni” psicologici da riparare in sede psicoterapeutica.

C’è un’ultima considerazione da fare: anche il bullo è un “debole” capovolto che è diventato tale per nascondere i suoi limiti, anche lui deve e merita d’essere aiutato.

TOSSICODIPENDENZE

tossicodipendenze

LE TOSSICODIPENDENZE

 

Chiariamo subito che le tossicodipendenze (alcol, droghe, gioco d’azzardo, sesso compulsivo ecc.) non rappresentano il fuoco del “vero” problema che risiede nelle profondità dell’animo umano, ma fatalmente la “fuga” da tale problema alla ricerca di un godimento effimero generatore di quel senso di ebbrezza che produce l’illusione del superamento dello stesso problema.

Ciò vale particolarmente per il piacere psicofisico derivante dal consumo di droghe, alcol e sesso compulsivo, ma anche per il piacere tutto mentale del giocatore d’azzardo, onnipotentemente convinto che la Dea bendata, presto o tardi, lo bacerà.

In tal modo “la via di fuga” si sovrappone al problema originario (che può essere di varia natura, affettivo, lavorativo, senso di sé sfocato, disperso o immaginario) creando una pericolosa dipendenza che raddoppia il problema, lasciandolo immutato.

In sede clinica, è necessario lavorare proprio sulla “messa a fuoco” del problema originario, in modo che trovando gradualmente soluzioni tanto efficaci quanto salutari, si allentino i richiami verso la fuga tossica, riducendo in tal modo il tasso di dipendenza.

IL BULLISMO OMOFOBICO

 

LE PAROLE INTERDETTE, LE BRUTTE PAROLE E IL BULLISMO OMOFOBICO

Sappiamo che in tutte le società su certi eventi, oggetti, condizioni sociali, azioni si scaricano connotazioni culturali ed emotive forti, tensioni identitarie, tanto da rendere sgradevoli, pericolose, da evitare le parole che ad essi si riferiscono.

Queste cambiano al mutare delle epoche storiche, delle condizioni sociali, delle ideologie ed anche delle mode. Si delinea in tal modo il confine sociale tra ciò che è dicibile e ciò che non lo è; e sempre in questo modo l’indicibile si carica emotivamente, l’evidenza di questo fenomeno rappresenta una delle prove più convincenti del legame che esiste tra parole e cose, in genere tra lingua, cultura e società.

Il bullismo omofobico, e le parole mediante le quali si manifesta, si inseriscono in questo discorso sulle brutte parole (parole da evitare perché socialmente interdette ma che proprio per questo, se e quando vengono usate, colpiscono) in generale, e in particolare all’interno della dialettica “tra diversità e normalità, dal momento che proprio quello del chiamare l’altro da noi è uno dei capitoli cruciali del tema dell’interdizione.

IL BULLISMO OMOFOBICO

IL BULLISMO OMOFOBICO

Lo è stato tradizionalmente ogni volta che una comunità ha guardato al suo interno verso le periferie, e tanto più quando si è aperta all’esterno; ma lo è diventato in proporzioni ancora maggiori nel nostro tempo, in cui non solo tutte le infinite facce della diversità ci si presentano attraverso gli ormai sofisticati canali della conoscenza virtuale ma il contatto e il confronto avvengono realmente e quotidianamente attraverso i diversi modi della globalizzazione.

La diversità religiosa, la diversità razziale e perfino regionale,  la diversità sessuale, la diversità culturale, la diversità sociale, sono oggi campi estremamente delicati nella comunicazione.

Una cartina di tornasole è che proprio parole legate a queste diversità  (o marginalità) sono oggi tra gli insulti più usati e più violenti:

marocchino, negro, bongo bongo, albanese, vucumprà, lesbica, terrone, culattone, invertito, morto di fame, analfabeta, pezzente, zingaro, ebreo, beduino, accattone, malato di mente e , perché no, donnetta.” (1).

La dinamica e l’efficacia distruttiva dell’insulto verbale si possono ricondurre a questa matrice, che fa sì che una parola possa ferire, proprio per la sua capacità di evocare in un certo contesto la sgradevolezza, la pericolosità , l’ambiguità culturale di una condizione sociale diversa, di materializzarla agli occhi di un adolescente alla ricerca precaria di un’identità.

Le brutte parole, insomma, non sono solo parole, perché in un dato contesto socioculturale richiamano troppo esplicitamente, come si accennava sopra, qualche cosa che può far paura, che può offendere, che può ferire.

BIBLIOGRAFIA

 

  • (1) Canobbio, Confini invisibili: l’interdizione linguistica nell’Italia contemporanea, in G. Iannaccaro, V. Matera, la lingua come cultura, Utet università, Novara, 2009, 47

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