VIDEO-INTERVISTA SUL FENOMENO DEGLI HIKIKOMORI: https://www.facebook.com/316484862168286/videos/381151409034964
Il fenomeno degli Hikikomori nasce in Giappone intorno agli anni ’80 che letteralmente vuol dire “isolarsi”, “stare in disparte”, “ritirarsi” dai ritmi frenetici e dai modelli altamente individualistici e competitivi imposti dalla società giapponese nei confronti di giovani e adolescenti che si accingono a completare gli studi di scuola media secondaria o ad affrontare selezioni durissime misurate in base al grado di prestigio di cui gode quell’università.
Si stima che siano tra i 500.000 e 1 milione i giovani giapponesi che “crollano” psicologicamente, sentendosi inadeguati, inadatti, troppo fragili per rispondere alle sollecitazioni di un tale scenario sociale e, rinunciando a qualsiasi forma di contatto esterno, si rifugiano nella loro stanza, mantenendo rapporti col mondo esclusivamente attraverso la realtà virtuale del web, tra internet, social network e video-giochi.
Si sono auto-murati vivi dentro la loro stanzetta, vivendo di notte e dormendo di giorno, mantenendo rapporti sporadici e comunque conflittuali con gli stessi genitori.
Molti studiosi giapponesi hanno ricondotto tale fenomeno alla durezza troppo selettiva del sistema scolastico giapponese a quello che loro chiamano “l’inferno degli esami”, altri c’hanno visto la rappresentazione dell’AMAE, cioè una dipendenza eccessiva tra madre e figlio legati da un rapporto simbiotico con l’aggravante di una cronica assenza paterna, altri ancora la difesa tanto primitiva quanto radicale dei troppo “deboli” , vittime di episodi di bullismo, o al contrario, la fatale manifestazione di personalità decisamente troppo narcisistiche, introverse, schiacciate da un’immagine troppo idealizzata del SE che non può accettare ridimensionamenti, fallimenti che minerebbero alla base quell’aspettativa ideale con cui la persona si rappresenta.
Anche se uno di questi fattori può prevalere sull’altro o risultare addirittura sinergici tra loro, gli autori si trovano d’accordo perlomeno su un punto: gli hikikomori non sono scarsamente intelligenti (semmai il contrario!), né tantomeno pazzi! e non possono rientrare semplicisticamente nella diagnosi di agorafobia o di depressione che insorgono dal di dentro senza legarsi a nessun motivo plausibile.
Il loro comportamento (che certamente produce anche effetti depressivi) è l’effetto della decodifica di un mondo sociale vissuto come “ostile” e che perciò non vale la pena di vivere.
L’accordo tra gli autori riguarda anche il rapporto tra gli hikikomori e la dipendenza da internet: non è la dipendenza da internet che genera gli hikikomori, ma al contrario, chi intraprende tale strada (per i vari motivi esposti) e diventa un hikikomori almeno si preserva la possibilità di comunicare col mondo per via virtuale, è l’ultima scelta rimasta possibile che lo fa sentire vivo.
In Giappone il fenomeno degli hikikomori , che inizialmente riguardava giovani e adolescenti si è espanso anche alle generazioni più mature dei trentenni e quarantenni, cosa che per ora non riguarda l’Europa.
Il fenomeno degli hikikomori s’affaccia in Italia intorno al 2005, oggi si stima che gli hikikomori italiani siano tra i 30.000 e i 50.000, ma il numero sembra destinato a salire.
Il fenomeno degli “eremiti sociali” (così vengono chiamati in Italia) sembrerebbe un po’ più mitigato rispetto a quello giapponese e dalle tinte meno drammatiche. Per i nostri hikikomori, l’isolamento sociale non è così drastico: fanno anche uscite sporadiche, ricevono amici e intrattengono rapporti sicuramente migliori con i propri genitori.
Comunque siamo in cima a tutti i paesi europei, a seguire la Spagna; le regioni dove si concentrano maggiormente sono quelle del centro-nord, Emilia-Romagna in testa ( recentemente si sono verificati 27 casi solo in una scuola di Bologna) a seguire Liguria e Umbria.
C’è un dato su cui val la pena di riflettere: 9 hikikomori su 10 sono maschi e tale fenomeno è stato giustamente definito una sorta di “anoressia sociale”, mentre avviene esattamente il contrario per la conclamata “anoressia mentale”, 9 anoressiche su 10 sono femmine.
Sembrerebbe che per i primi il vissuto d’inadeguatezza colpisca la “persona” nella sua interezza rispetto ai modelli etico- sociali avvertiti come eccessivi e irraggiungibili, mentre per le seconde il vissuto d’inadeguatezza colpisca il “corpo” che non combacia con i modelli estetico-sociali. Modelli vissuti come tiranni estranei a cui gli esseri umani , maschi e femmine però si consacrano alienandosi in essi, incapaci di produrre l’autenticità del proprio modello di essere-se-stessi nel corpo, nella mente e nell’anima.
E’ ben comprensibile che affrontare terapeuticamente il problema degli hikikomori non è affatto facile, dal momento che innanzitutto il riordino di una realtà sociale più allettante e appetibile che non induca a delle sproporzionate reazioni di fuga negli adolescenti più deboli, è compito principalmente dei politici.
In chiave strettamente clinico-psicologica non è facile aiutare chi non intende farsi aiutare affatto. In questo senso sono stati costituiti dei forum, blog, gruppi di discussione (anche su facebook) che aiutino sia la famiglia, la prima ad essere chiamata in causa (abbassando certe pretese ideali ed evitando sequestri di computer ecc. ) sia il soggetto hikikomori accettando terapie a domicilio o via skype e proponendogli prospettive sociali lavorative o di studio perseguibili.
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