Con l’acronimo DSA (disturbi specifici d’apprendimento) si indica una serie di condizioni che precludono al soggetto, in assenza di ritardo mentale, l’uso di abilità implicate nell’apprendimento, e in particolare nell’apprendimento scolastico, come leggere, scrivere e far di conto.
Appartengono a questa categoria di disturbi, la dislessia (incapacità di leggere in modo spedito e corretto ), la disgrafia (difficoltà di riprodurre segni alfabetici e numerici), la discalculia (disturbo delle abilità aritmetiche), il disturbo non verbale (presenza di deficit visuo-spaziali che compromettono l’esecuzione dei compiti di memoria e la risoluzione di compiti non verbali, come comporre un puzzle, uno schema o utilizzare una cartina geografica).
La scuola è spesso l’ambito principale in cui questi problemi si manifestano, perché le loro caratteristiche interferiscono precocemente con il normale percorso d’apprendimento: l’alunno ha difficoltà a leggere e scrivere, è più lento dei compagni e spesso sviluppa comportamenti ansiosi, perché si percepisce inadeguato alla situazione.
Se il disturbo non viene precocemente individuato e trattato, fenomeno diffuso fino a pochi anni fa, quando l’alunno con DSA era spesso etichettato come pigro o poco capace, la situazione peggiora fino a compromettere in modo spesso definitivo la carriera scolastica del soggetto.
Oggi, fortunatamente le cose sono cambiate: nel nostro paese una legge, la 170 dell’8/10/10 (completata da Decreto legge e Linee guida del luglio 2011), tutela il diritto allo studio degli alunni con DSA, prevedendo a loro sostegno nuove metodologie didattiche e valutative.
Le linee guida favoriscono una didattica personalizzata attraverso l’introduzione dei cosiddetti “strumenti compensativi” e “misure dispensative” particolarmente per l’insegnamento della matematica e delle lingue straniere. Tra gli strumenti compensativi ricordiamo: la sintesi vocale che trasforma un compito di lettura in un compito d’ascolto; il registratore che consente all’alunno di non prendere appunti durante la lezione; i programmi di videoscrittura con correttore ortografico; la calcolatrice; il computer, strumenti come tabelle, grafici, mappe concettuali.
La misure dispensative sono invece interventi che consentono all’alunno di non svolgere alcune prestazioni troppo difficoltose per lui: sostenere un’interrogazione alla lavagna, semplificargli le domande scritte rispetto a quelle date alla classe, avvalersi di questionari a risposta multipla invece che con domande aperte, fornirgli più tempo per la consegna dei compiti.
Lo spirito della normativa è chiaro: non si tratta di concedere all’alunno DSA un privilegio non condiviso dal resto della classe, o di esercitare nei suoi confronti una compassionevole indulgenza, ma semplicemente di metterlo nelle condizioni più idonee per svolgere il proprio compito di studente.
In quest’ottica, le misure particolari adottate nei suoi confronti sono equiparabili agli occhiali prescritti a una persona con difficoltà visive: costui deve infatti servirsene per poter leggere come gli altri, non per rinunciare alla lettura stessa.
Come accennato precedentemente, fino a circa 20 anni fa la scuola non era in grado di farsi carico delle situazioni di disagio psicologico che si ripercuoteva fatalmente sui processi d’apprendimento perché foriera di un modello di “normalità” troppo intellettualistico improntato su una concezione dell’intelligenza esclusivamente linguistico-verbale o logico-matematica; o per dirla con Don Milani che negli anni ’50 affermava “ la scuola è un ospedale che accetta i sani e rifiuta i malati”.
Strada facendo, il progresso delle neuroscienze ha permesso l’approfondimento diagnostico di “quadri” del disagio psicologico che nulla hanno a che vedere con deficit neurologici, ritardi mentali o intellettivi veri e propri (dall’autismo, ai disturbi dell’apprendimento ma anche a tutte quelle situazioni di disagio affettivo, economico-sociale, di marginalità nel territorio o d’integrazione culturale).
Ciò ha significato una maggiore sensibilizzazione della scuola per il fattore accoglienza-socializzazione a cui i risultati dell’apprendimento cognitivo sono subordinati e l’apertura verso vari modelli del funzionamento mentale ; in pratica si può essere “normali” e “intelligenti” in vari modi.
Ritornando sui DSA c’è da dire che a volte si assiste allo strascico del pregiudizio tradizionale che si può essere normali solo in un modo proprio nelle famiglie del soggetto DSA e nello stesso soggetto che preferiscono non presentare la documentazione adeguata o magari avvalersi dell’insegnante di sostegno per altri disturbi per non sentirsi “diversi” ed etichettati come “anormali”.
Questa scelta impropria , spesso si rivela un vero e proprio boomerang che finisce per alimentare quel tasso d’ansia da prestazione per paura di risultare inadeguati al compito producendo un surplus di fatica inutile che non favorisce certo né il soggetto, né le famiglie, né tantomeno gli insegnanti.
Bibliografia
Lorenzo Milani “Lettere a una professoressa”, Mondadori, Milano, 1967