I PUNTI DI VISTA SUL CALCIO
Questo articolo è dedicato ad approfondire i legami che intercorrono tra lo sport ,il calcio e il tifo, nel tentativo di sbrogliare la matassa emotiva di un fenomeno come quello calcistico che ha il potere di scatenare passioni incontrollate, amori sviscerati, fedeltà infinita, come pochi altri sport al mondo.
Dunque, partiamo da un riferimento storico imprescindibile che porta il nome di Pierre De Coubertin (1863-1937), fondatore dei moderni giochi olimpici: lo sport deve incarnare i valori della lealtà, dell’onestà e soprattutto dell’obbiettività del giudizio sui risultati ottenuti, che rappresentano anche i valori etici imprescindibili su cui è possibile fondare la vita umana e sociale.
Lo sport come maestro di vita che ti insegna a vivere! E’ questo il motto riassuntivo de coubertiano e da questo punto i vista il calcio è semplicemente uno sport come tutti gli altri, in cui devono trionfare i principi/valori del rispetto dell’avversario, dell’onestà, della lealtà, affinchè vinca chi se lo merita, vale a dire il “migliore”.
Ne consegue che lo spettatore che rivendica di essere uno sportivo per mantenersi nell’equilibrio di un giudizio obbiettivo non può e non deve parteggiare per nessuna parte, pena la caduta della sua sbandierata sportività.
Il suo approccio sarà quello di un esteta che in modo disincantato potrà al massimo gridare: “Vinca il migliore!”. Se ne conclude che un vero sportivo non potrà mai essere un vero tifoso.
Spostiamo l’angolatura verso i protagonisti di questo sport chiamato calcio, vale a dire i calciatori ( a cui aggiungo anche gli allenatori).
Dal punto di vista dei calciatori il calcio non è soltanto uno sport da giocare, ma una vera e propria professione (peraltro molto redditizia) che in barba alla linea integerrima dei valori sportivi di De Coubertin, segue piuttosto la linea economica del maggior profitto. Sono ormai pochi, se non pochissimi i calciatori che s’innamorano della maglia ( come spesso loro stessi fanno credere o come credono alcuni tifosi), ma è anche ingeneroso accusarli di “mercenarismo” ( come spesso fanno i tifosi perché li vorrebbero come loro).
I calciatori sono dei professionisti che si offrono “al miglior offerente”; ed è una logica, facendo le dovute proporzioni, che riguarda un po’ tutte le professioni.
Non c’è proprio nulla di cui scandalizzarsi! Forse l’unica eccezione riguarda proprio i conduttori radiotelevisivi di rubriche sportive che coniugano la passione con la professione. Spostando ancora l’angolatura del calcio dal punto di vista dei tifosi ci accorgiamo che né la logica sportiva, né tantomeno la logica economica riguarda il calcio vissuto dai tifosi.
Il tifoso vive il calcio secondo un ampio ventaglio emotivo che va dall’amore sviscerato per una squadra ( di solito è solo una) all’odio profondo (anche qui spesso è solo una) ed in mezzo la simpatia (solo per alcune) e l’antipatia (per altre ancora).
Nel vivere il calcio è capace di far suonare tutte le note del pentagramma sentimentale. Che piaccio o no, la sua è una posizione faziosa, partigiana, di parte e per tal motivo non potrà mai essere un vero sportivo.
Il tifoso gioisce per un rigore inesistente concesso alla propria squadra del cuore, così come gioisce per un rigore sacrosanto non concesso alla squadra avversaria. Dove sono i valori della sport!?…La risposta è semplice…non esistono! Non sono i valori dello sport che lui persegue, ma quelli del cuore! Essere tifosi significa essere “pro” ma fatalmente anche “contro”, significa tifare ma anche gufare.
Di solito, di tutto questo il tifoso ne va orgogliosamente fiero e lo rivendica come la dimensione che lo legittima proprio nel suo essere tifoso…senza vergogna! (spesso è così ,ma non sempre come vedremo in seguito).
Un’ultima notazione sui due estremi dell’universo affettivo: l’amore e l’odio calcistico. Entrambi, prima di essere comportamenti sono innanzitutto sentimenti.
Ma mentre il comportamento dettato dal sentimento d’amore non è mai incivile e anti-etico, il sentimento dell’odio che diviene comportamento aggressivo e violento rappresenta la sua degenerazione patologica e sociopatica che mette a repentaglio la vita di tutti e non può, in nessun caso, avvalersi di nessun alibi calcistico.
La dialettica della guerra tra le tifoserie dovrebbe rimanere una guerra senz’armi, una guerra ideale che si combatte ,oltre che sui risultati sul campo, anche sui canti, sui cori, sugli inni, sugli striscioni, sui simboli, sui colori e sulla storia di ogni squadra.
Ciò può valere come monito per quando gli stadi riapriranno.
FINTI TIFOSI-FINTI SPORTIVI, TIFOSI CIECHI
Dunque, per il discorso svolto fin qui il tifoso vero e verace è quello che ha la fierezza non solo di vivere tutta la gamma dei sentimenti che lo coinvolgono verso le squadre, ma soprattutto che ha il coraggio di comunicarlo sostenendo senza problemi di essere “di parte”.
Quindi, chi sono i tifosi che fingono di non esserlo? Sono quelli che si vogliono ammantare di un velo di sportività, ma in cuor loro tifano e gufano (come quelli veri), ma non hanno il coraggio di sostenerlo apertamente perché pensano che la legittimità dell’essere tifoso si affermi attraverso l’essere sportivi.
E’ questo l’errore di fondo che genera anche confusione dei comportamenti e la commistione di due aspetti entrambi legittimi, ma endemicamente, distinti e separati. Chi finisce in questa ambiguità comportamentale risulta malinconicamente fasullo; metà tifoso e metà sportivo, ma alla fine non è né l’uno né l’altro.
Il tifoso cieco, invece, è colui che incorre nell’errore esattamente contrario: spaccia la sua percezione da tifoso come quella assolutamente obbiettiva e incontrovertibile, per cui dopo che hanno negato due rigori sacrosanti alla squadra avversaria, dopo che questa ha preso 2/3 pali ed ha sempre attaccato mentre la squadra del cuore con un solo tiro in porta ha vinto la partita, è capace di dire: “ Li abbiamo stracciati!”.
A questo tifoso se è della stessa squadra del cuore lo si accoglie e gli si vuole bene lo stesso, ma se è della squadra avversaria, lo si giudica INSOPPORTABILE! Lo stesso giudizio del tifoso orbo giudicato in modo diametralmente opposto da altri tifosi come lui, conferma che nel “tifo” si rimane impligliati in quella matassa emotiva, da cui è difficile affrancarsi.
Queste situazioni con i relativi commenti finali non sono esempi così irrealistici, ma realmente accadono e rappresentano la conferma che nel calcio vige la legge emotiva degli affetti, mentre l’obbiettività del giudizio è fuorilegge.
A questo punto una domanda sorge spontanea: è possibile coniugare la sportività col tifo? E’ possibile mantenere la lucida percezione di una mente fredda con il calore del cuore che batte?
Idealisticamente, io penso di sì e mi spiego meglio: dopo aver ammesso che il gol a proprio favore era viziato da un tocco di mano (orbo pure il var?!) o che hanno regalato un rigore alla propria squadra del cuore o che hanno negato un rigore sacrosanto alla squadra avversaria (l’occhio dello sportivo) …aggiungere: “Bene…meglio così!” (l’occhio del tifoso).
TIFOSI SI NASCE O SI DIVENTA?
Spesso sento in giro frasi di questo tipo: “Ringrazio Dio, o mio padre, di avermi fatto nascere tifoso di questa o di quest’altra squadra”.
La frase nel suo senso complessivo, vuole esprimere il profondissimo attaccamento ai propri colori fin dalle origini del punto zero, pensando di esserlo sempre stati ancor prima della nascita; un po’ come fanno i bambini quando chiedono alla madre : “Mamma, ma dov’ero io prima di nascere?…o ancora dove si va dopo la morte?” E’ l’idea dell’infinità della vita che ci porta a pensare di essere sempre stati quello che si è e di continuare ad esserlo per l’eternità.
Prendendo però la frase suddetta alla lettera aggiungo che è un’ ASSURDITA’ sul piano scientifico e culturale. E’ un po’ come sostenere che si nasce scultori, pittori, matematici, ingegneri o biologi ( in bio-genetica si parla al massimo di predisposizioni potenziali che si intersecano con le situazioni/stimolo ambientali). Nessuno nasce tifoso ( interista, milanista, juventino laziale o romanista ecc.), ma lo SI DIVENTA!.
Quando ci si interroga sul COME si diventa tali, ci si accorge che i fili affettivi dell’innamoramento per la squadra s’intrecciano inesorabilmente con i fili degli affetti familiari.
L’attaccamento affettivo al proprio padre, madre, zii, fratelli, sorelle, cugini ecc. crea i destini della scelta futura della propria squadra del cuore, sia nel senso di leggere lo spartito calcistico così come è stato scritto e proposto in quella famiglia, sia nel senso di volerlo leggere al contrario per opposizione al padre, alla madre, al fratello o per compiacere lo zio prediletto che è della squadra opposta a quella del padre con cui il figlio è in polemica.
Identificazione, emulazione, adorazione, opposizione, amore e tenerezza, rancori e rimorsi, tigna e dispetti, colpa, vergogna e tradimenti; questi i meccanismi emotivi infiniti ed altri ancora (perlopiù inconsci) che regolano l’universo affettivo familiare, che sono gli stessi meccanismi implicati nella fatidica SCELTA CALCISTICA.
E ciascuno ha la sua storia vissuta e raccontata. La conclusione è che l’amore per la squadra del cuore è per definizione un AMORE INFANTILE, ma non nel senso dispregiativo del termine, ma proprio nel senso della purezza e dell’innocenza di essere un AMORE IDEALE, essendo il PRIMO AMORE conosciuto, prima ancora di quelli reali.
La squadra che si ama rappresenta proprio l’enfasi di un AMORE IMMAGINATO IDEALE, perché non è un oggetto che puoi possedere e consumare fisicamente come un libro, un’automobile o una donna…se tenti di farlo abbracci l’aria fatta solo di storia, simboli e colori.
L’amore per un giocatore, nemmeno il più amato e rappresentativo, non potrà mai competere con l’amore per la squadra, perché lui passerà, mentre la squadra continua, esattamente come la vita.