IL BULLISMO OMOFOBICO

IL BULLISMO OMOFOBICO

 

LE PAROLE INTERDETTE, LE BRUTTE PAROLE E IL BULLISMO OMOFOBICO

Sappiamo che in tutte le società su certi eventi, oggetti, condizioni sociali, azioni si scaricano connotazioni culturali ed emotive forti, tensioni identitarie, tanto da rendere sgradevoli, pericolose, da evitare le parole che ad essi si riferiscono.

Queste cambiano al mutare delle epoche storiche, delle condizioni sociali, delle ideologie ed anche delle mode. Si delinea in tal modo il confine sociale tra ciò che è dicibile e ciò che non lo è; e sempre in questo modo l’indicibile si carica emotivamente, l’evidenza di questo fenomeno rappresenta una delle prove più convincenti del legame che esiste tra parole e cose, in genere tra lingua, cultura e società.

Il bullismo omofobico, e le parole mediante le quali si manifesta, si inseriscono in questo discorso sulle brutte parole (parole da evitare perché socialmente interdette ma che proprio per questo, se e quando vengono usate, colpiscono) in generale, e in particolare all’interno della dialettica “tra diversità e normalità, dal momento che proprio quello del chiamare l’altro da noi è uno dei capitoli cruciali del tema dell’interdizione.

IL BULLISMO OMOFOBICO

IL BULLISMO OMOFOBICO

Lo è stato tradizionalmente ogni volta che una comunità ha guardato al suo interno verso le periferie, e tanto più quando si è aperta all’esterno; ma lo è diventato in proporzioni ancora maggiori nel nostro tempo, in cui non solo tutte le infinite facce della diversità ci si presentano attraverso gli ormai sofisticati canali della conoscenza virtuale ma il contatto e il confronto avvengono realmente e quotidianamente attraverso i diversi modi della globalizzazione.

La diversità religiosa, la diversità razziale e perfino regionale,  la diversità sessuale, la diversità culturale, la diversità sociale, sono oggi campi estremamente delicati nella comunicazione.

Una cartina di tornasole è che proprio parole legate a queste diversità  (o marginalità) sono oggi tra gli insulti più usati e più violenti:

marocchino, negro, bongo bongo, albanese, vucumprà, lesbica, terrone, culattone, invertito, morto di fame, analfabeta, pezzente, zingaro, ebreo, beduino, accattone, malato di mente e , perché no, donnetta.” (1).

La dinamica e l’efficacia distruttiva dell’insulto verbale si possono ricondurre a questa matrice, che fa sì che una parola possa ferire, proprio per la sua capacità di evocare in un certo contesto la sgradevolezza, la pericolosità , l’ambiguità culturale di una condizione sociale diversa, di materializzarla agli occhi di un adolescente alla ricerca precaria di un’identità.

Le brutte parole, insomma, non sono solo parole, perché in un dato contesto socioculturale richiamano troppo esplicitamente, come si accennava sopra, qualche cosa che può far paura, che può offendere, che può ferire.

BIBLIOGRAFIA

 

  • (1) Canobbio, Confini invisibili: l’interdizione linguistica nell’Italia contemporanea, in G. Iannaccaro, V. Matera, la lingua come cultura, Utet università, Novara, 2009, 47

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