LA PSICOLOGIA DELL’ORIENTAMENTO
Dal punto di vista etimologico il termine orientamento deriva dal latino “ORIENS” che significa “ORIENTE”, in quanto participio presente del verbo “ORIOR” (sorgere), (DI FABIO, 1998).
Ciò significa che per poter individuare il NORD e tutti gli altri punti cardinali in vista della corretta direzione in cui muoversi, è necessario sapere il luogo “dove sorge il sole”.
La metafora geografica è quanto mai significativa per indicare come l’atto orientativo trovandosi all’incrocio tra l’interiorità soggettiva e l’esteriorità sociale, rappresenti il tentativo di coniugazione tra la nascita di potenziali elementi “nuovi” che sorgono nel soggetto (desideri, aspirazioni, istanze) e le offerte-possibilità dello spazio storico-sociale circostante, al fine d’individuare la giusta direzione Da questi primi elementi introduttivi possiamo già sfatare alcuni luoghi comuni frutto del retaggio storico della tradizione psicologica che legano il concetto di orientamento esclusivamente nel campo scolastico-professionale (aziendale) cominciando ad intenderlo, invece, come un “percorso” che investe l’intera area di vita del soggetto capace di produrre scelte consapevoli in vista della sua autonomia funzionale.
Riportiamo la “raccomandazione” conclusiva del congresso dell’Unesco a Bratislava nel 1970: “Orientare significa porre l’individuo in grado di prendere coscienza di sé e di progredire, con i suoi studi e la sua professione, in relazione alle mutevoli esigenze della vita, con il duplice scopo di contribuire al progresso della società e di raggiungere il pieno sviluppo della persona umana“.
Tale definizione (tra l’altro nemmeno troppo recente) contiene già in nuce gli aspetti essenziali dell’orientamento moderno in parte già accennati:
1) L’orientamento come “pratica educativa permanente” che include l’intera vita del soggetto nei momenti topici di scelte cruciali.
2) L’orientamento come momento formativo oltre che informativo.
3) L’orientamento come procedimento complesso volto alla presa di coscienza consapevole delle scelte personali in vista dell’autonomia funzionale.
4) La diatesi del verbo orientare che dalla forma “attiva” (orientare) e declinata gradualmente verso la forma “riflessiva” (capacità di orientarsi, auto-orientamento)
In effetti questi 4 assunti riassumono schematicamente le trasformazione del concetto di orientamento negli ultimi 100 anni nel panorama scientifico mondiale.
A tal fine, può essere utile lanciare uno sguardo sulle fasi storiche che hanno segnato i passaggi salienti di tale processo trasformativo.
IL PERIODO PRESCIENTIFICO
In questo periodo che si identifica con l’epoca pre-industriale e che si esaurisce con gli inizi del ‘900 non si può parlare di un vero e proprio orientamento (è probabile che nemmeno fosse in uso tale parola).
Per la società ottocentesca (ed ancor più per quelle precedenti), l’orientamento individuale non era certamente una “prassi”, ma semplicemente un meccanismo di trasmissione psico-sociale che continuava la tradizione familiare; meccanismo che manteneva in modo implicito e silenzioso la rigidità di un sistema sociale diviso per classi.
In pratica, era molto probabile che i figli continuassero a fare lo stesso lavoro del padre (o comunque un lavoro di pari status sociale); così come le figure che potevano svolgere attività orientative si identificavano fatalmente con i soggetti detentori di “autorità” (genitori, nonni, anziani, maestri, artigiani), non esistendo ancora una figura istituzionalizzata di psicologo esperto. (Scarpellini, Strologo, 1976; Pombeni, 1990; Castelli, Venini, 1996).
IL PERIODO SCIENTIFICO
Tale periodo è caratterizzato da varie fasi:
⦁ fase diagnostico-attitudinale
⦁ fase caratteriologico-affettiva
⦁ fase clinico-dinamica
⦁ fase dello sviluppo vocazionale
⦁ fase centrata sulla persona e maturativo-personale
Fase diagnostico-attitudinale
Nei primi decenni del ‘900 lo sviluppo tecnologico-industriale determina una svolta nel settore dell’orientamento e la psicologia finisce per assolvere le esigenze di selezione della grande industria, particolarmente nei paesi anglo-sassoni dove maggiormente si avvertono gli effetti della rivoluzione industriale.
Nascono le prime catene di montaggio dell’industria automobilistica in Europa ed in America, ed è proprio qui oltreoceano, nella patria dei Ford e dei Taylor che nasce il motto che caratterizza questa frase: “l’uomo giusto al posto giusto” (Parsons, 1909; Lawe, 1929).
In effetti l’approccio tipico di questa fase non è quello di considerare il soggetto nella sua complessità globale, ma quello di considerarlo un coacervo di attitudini di base (sensoriali, percettivo-motorie, tempi di reazione, capacità di memorizzazione, ecc.) selezionabili in base alle richieste della grande industria.
È il proliferare dei test attitudinali che riflettono la concezione dell’uomo-macchina al servizio delle esigenze del mercato del lavoro; aspetto tragico-comici così magistralmente descritto da C. Chaplin nel famoso film “tempi moderni”.
Fase caratteriologico-affettiva.
Intorno agli anni trenta ci si comincia a porre il problema che all’esercizio di una attitudine spiccata del soggetto potrebbe non corrispondere una sensazione di piacere e d’uno stato generale di benessere.
Con ciò l’attenzione si sposta dallo studio delle attitudini a quello degli interessi che riflettono una natura caratteriologico-affettiva (Baumgarten, 1949; Holland, 1959).
L’apertura verso l’area degli interessi che evidenzia la sinergia esistente tra il lavoro, gli interessi professionali e la dimensione socio-affettiva ai fini della realizzazione dell’esistenza individuale.
È l’inizio della tradizione psicometrica di test e questionari che si diffondono su larga scala. Tale fase si protrarrà fino agli anni ‘50.
Fase clinico-dinamica
Dagli anni ‘50 in poi e in tutti gli anni ‘60, grazie agli apporti e alla diffusione della psicoanalisi il concetto di personalità assurge a ideale contenitore di tutto ciò che appartiene all’individuo.
Gli elementi profondi della personalità sotto forma di tratti, motivazioni, inclinazioni, tendenze inconsce, divengono l’oggetto di indagine privilegiato caratterizzante la tipologia psicologica del soggetto.
In tale senso l’attenzione si sposta ancora dagli interessi ai bisogni inconsci dell’individuo che se realizzati potranno rappresentare quella dimensione ecologica di benessere psicosociale.
In effetti in questa fase si assiste ad un ribaltamento di prospettiva: non è la “struttura psicologica” che si deve adattare alla “struttura lavorativa”, ma, al contrario, è la dimensione lavorativa che diviene l’occasione sociale per catalizzare le strutture dinamiche profonde dell’individuo nella direzione del loro sviluppo.
Lo stesso Agostino Gemelli differenziava le inclinazioni che erano legate ai meccanismi inconsci interni all’individuo dagli interessi che erano (anche) il risultato di fattori condizionanti esterni come famiglia, scuola, ambiente (Gemelli, 1953).
È facile intuire come in questa fase si sia fatto un grande uso dei test proiettivi di personalità sia nell’ambito dell’orientamento scolastico che professionale.
Fase dello sviluppo vocazionale
Fino agli anni ‘70 si può affermare che la diatesi del verbo orientare è esistita solo nella forma attiva: una gruppo di apprendisti-stregoni chiamati psicologi emetteva la fatidica sentenza e ti diceva quello che era meglio per te ora sotto forma di “capacità-attitudine”, ora come “interesse privilegiato”, ora come “bisogno inconscio” da realizzare.
Dagli anni ‘70 in poi sulla scia di uno studio realizzato dall’Università di Laval del Quebec in Canada (Pellettier et al., 1996), si assiste ad un’inversione di tendenza che riassegna al soggetto il potere e la responsabilità di autorientarsi.
La prassi orientativa diviene un con ciò un procedimento complesso di “sviluppo vocazionale” di cui il soggetto orientandosi diviene attore consapevole capace di coniugare le informazioni psicologiche e socio-economiche esterne con istanze, desideri, aspirazioni interne, rendendosi con ciò soggetto “attivo” e “consapevole” dei processi decisionali implicati nelle scelte di fondo.
Fase centrata sulla persona o maturativo-personale
In questa fase che corrisponde ormai al panorama contemporaneo il protagonista principale del processo di orientamento non è più individuato nell’esperto, ma nel soggetto che “ricerca” qualcosa e per questo chiede aiuto.
Il ruolo dell’esperto sarà certamente quello di fornire un’informazione puntuale e dettagliata avvalendosi anche della necessaria strumentazione scientifica, ma sollecitando nel soggetto l’assunzione di un ruolo “attivo” capace di puntare sulle sue risorse interne, chiarificandosi nelle strategie di pensiero e d’azione ed assumendosi la responsabilità delle sue scelte decisionali.
L’orientamento diviene così auto-orientamento sotto la guida di un mentore chiamato psicologo-esperto.
A rifletterci bene questa forma di orientamento che conclude questa breve rassegna storica, coincide con quella forma di relazione che sta prendendo sempre più piede nel nostro paese (già largamente diffusa in altri paesi) che è il “Counseling psicologico”, e particolarmente il Counseling d’orientamento ed il Career Counseling e con essi la figura del Counselor.
Secondo la migliore tradizione della psicologia umanistica, particolarmente rogersiana, il counseling si definisce proprio come la “capacità di aiutare le persone ad aiutarsi da sole”, secondo le linee di uno sviluppo autonomo.
Infine alcune considerazioni teoriche sull’atto-momento dell’orientare (orientarsi) ci portano a rivalutarlo come atto spiccatamente intelligente e creativo, dal momento che implica l’apertura prospettica verso il tempo futuro; il fascino di prendere decisioni “oggi” leggendo nella sfera di cristallo del “domani”, vincendo con ciò la difficile scommessa di azzeccare il ragionamento col “senno di prima” invece che col “senno di poi” e capitalizzando con ciò energia, tempo e denaro.
BIBLIOGRAFIA
⦁ Baumgarten F. (1949) “Orientation et selection personnelles par l’examen psychologique du caractere, DUNOD, Paris
⦁ Castelli C., Venini L. (a cura di, 1996) “ Psicologia dell’orientamento scolastico e professionale”, F. Angeli, Milano
⦁ Di Fabio A. (1988) “ Psicologia dell’orientamento”, Giunti, Firenze
⦁ Gemelli A. “L’orientamento è opera integrativa dell’educazione ed ha perciò valore educativo”, HOMO FABER, IV, 21
⦁ Holland J.L. (1959) “A theory of vocational choice”, JOURNAL OF COUNSELING PSYCHOLOGY, 6, 33-45
⦁ Lawe F.W. (1929) “ Gli effetti economici della psicologia industriale”.In MYERS G.S. (a cura di), “ Introduzione alla psicologia industriale”, trad. It. Etas Kompass, Milano, 1963.
⦁ Parsons F. (1909) “Valeurs et choix en education”, EDISEM, ST. HYACINTHE.
⦁ Pellettier D. et al. (1974) “Development vocational et croissance personnelle: approache oparatoire, MC. GRAW-HILL, MONTREAL.
⦁ POMBENI M.L. (1990) “Orientamento scolastico e professionale” – Un approccio socio-psicologico, IL MULINO, BOLOGNA.
⦁ SCARPELLINI C., STROLOGO E. (a cura di, 1976) “L’orientamento – problemi teorici e metodi operativi”, LA SCUOLA, BRESCIA.